martedì 31 agosto 2021

Sulle guerre che non finiscono mai, e una indicazione per smettere

 



Giovanni Meli (l'Abbati)

Favole Morali

LXVIII - SURCI, GIURANA E MERRU



INDICE FAVOLE MORALI





LXVIII - SURCI, GIURANA E MERRU

Sulle guerre che non finiscono mai, e una indicazione per smettere

 

SURCI, GIURANA E MERRU                              TOPI, RANA E MERLO

 

C'è statu sempri tra surci e giurani                C’è stato un tempo tra topi e rane

Un mari vecchiu, un odiu radicatu,               un mare vecchio, un odio radicato,

Sin da quannu lu figghiu a Rudi-pani           sin da quando il figlio a Rodi-pani

Ci fu da Guncia-tempuli annigatu:(1)           ci fu da Gonfia-gote annegato:

D'unni surgiu ‘na guerra sanguinusa,            da dove sorse una guerra sanguinosa

Chi tra ‘na trumma risunau famusa.              che in una tromba risuonò famosa.

 

Finiu di poi chi Giovi truniannu, (2)                  Finì dopo che Giove tuonando,

Li granci armati di duri curazzi                       i granchi armati da dure corazze

Di li giurani in succursu marciannu,             delle rane in soccorso marciando,

A li surci spilaru li mustazzi,                           ai topi sfilarono i baffi,

Truncaru gammi e cudi cu tinagghi;              troncarono gambe e code con tenaglie;

Tra ‘na parola, ci dettiru l'agghi. (3)              in una parola, gli diedero disfatta.

 

Di allura insinu a nui non c'è mai stata          Da allora fino a noi non c’è mai stata

Tra sti dui specii nessuna azioni                      tra queste due specie nessuna azione

Chi fussi digna d'essiri nutata;                         che fosse degna di essere notata;

Ma o sia pr'istintu o pri prevenzioni,              ma o sia per istinto o per prevenzione,

Di cui li testi ci ristaru guasti,                           da quello che gli rese le teste guaste,

Nun s'incontranu mai senza cuntrasti.            non si incontrano mai senza contrasti.

 

Dunca un jornu a la ripa di un pantanu         Dunque un giorno alla riva di un pantano

Un surci avvicinannusi, scupriu                      un sorcio avvicinandosi, scoprì

Vinìri ‘na giurana di luntanu,                          venire una rana da lontano,

Chi senza diri bonciornu né addiu,                che senza dire buongiorno né addio,

D'una punta di juncu lu vrazz’arma               di una punta di giunco il braccio arma

Poi dici: “Trasi, si ti basta l'arma!                   poi dice: “Entra, se ti basta l’arma!”

 

Ripigghia l'autru: Nesci e ven’in terra,             Ripiglia l’altro: “Esci e vieni a terra,

Sugnu ccà, pruviremu cui chiù vali,                  sono qua, proveremo chi più vale,

Nun manciu filu, veni caniperra..”.                   non temo, vieni due volte cagna …”

Ed idda: “Sollennissimu jacali,                            Ed essa: “Solennissimo poltrone, 

Si di valuri e curaggiu ti vanti                              se di valore e coraggio ti vanti

A 'ncugnari unni mia pirchì ti scanti?”              ad avvicinare da me perché ti spaventi?”

 

“E tu, ripigghia l'autru, pirchì timi                         “E tu, ripiglia l’altro, perché temi

A vinìri ccà 'nterra, putrunazza?”…                       a venire qua in terra, poltronaccia?...”

Ma mentri cu l'inciurii ognun’esprimi                  ma mentre con le inciurie ognuno esprime

Chiù assai chi nun farria cu spata e mazza,         assai di più che non farebbe con spada e mazza,

Si senti un gaddu ddà  ‘ncostu cantari,                 si sente un gallo là vicino cantare,

Ed autri chiù luntanu replicari.                               ed altri più lontano replicare.

 

Un merru, ch’avia  'ntisu li cuntrasti,                     Un merlo che aveva inteso i contrasti,

Grida: “Nun chiù, zittitivi un momentu,                 grida: “Non più, state zitti un momento,

Sintitivi sti gaddi, e tantu basti:                               ascoltate questi galli, e tanto basta:

Ogn’unu in casa sua vali pri centu,                        ognuno in casa sua vale per cento

E a stu cricchiutu oceddu lu cumparu:                  e a questo crestato uccello faccio il paragone:

Canta ogni gaddu tra lu so puddaru.” (4)              canta ogni gallo nel suo pollaio.”

 

Note

1)      Due nomi per designare l’inizio del conflitto e da lì inizieranno le vendette.

2)      Giove ruona e senza alcuna spiegazione si schiera con le rane.

3)      Agghi, agli, plurare di aglio. L’antico modo di dire siciliano dari l’agghi, ha il

significato di dare la peggio;  un pasto solo a base di agli non poteva essere ben gradito.

4)      Canta ogni gallo nel suo pollaio, antico modo di dire contadino per significare che ognuno

è padrone a casa sua. In qualche modo un consiglio a non intervenire nel territorio di altri

popoli.

 

Immagine gallo che canta da:

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