venerdì 26 marzo 2021

Viaggiare o star fermi?

 

Dialogo tra una rondine e una patella;

la prima si vanta dei suoi viaggi,

la seconda gli pone delle domande. 

Viaggiare o star fermi? In ogni caso

riflettere e pensare.


XXVI - LA RINDINA E LA PATEDDA


Stanca da li viaggi, supra un scogghiu              

Chiusi l'ali e pusau ‘na rindinedda; (1)                 

Un pocu sutta c'era ‘na patedda, (2)                      

Chi pri tettu ci offriu lu so cummogghiu.              

 Stanca dai viaggi, sopra uno scoglio

chiuse l’ali e si posò una rondinella,

un poco sotto c’era una patella, 

che per tetto gli offri la sua copertura.


Ti ringraziu, ci dissi, nun lu vogghiu;                        Ti ringrazio, ci disse, non lo voglio;

Ma tu sempri stai ddocu? Oh puviredda!                ma tu sempre stai qua? Oh poveretta!

Jeu giru mari, paisi, castedda,                                 Io giro mari, paesi, castelli,

Osservu tuttu, e doppu mi la cogghiu.                     osservo tutto e dopo me ne vò.

 

Dimmi, l'autra spiau: Li lochi visti                              Dimmi, l’altra chiese: I luoghi visti

Su’ d'acqua e petri? Sì. C'è armali?  O quanti!         sono di acqua e pietre? Sì. C’è animali? O quanti!

L'omini su’ a dui pedi? Comu chisti.                        L’omini sono a due piedi? Come questi.

Periculi cinn'è di vita vostra?                                    Pericoli ce ne sono di vita vostra?

Cui li pò diri? Basta: 'un jiri avanti:                          Chi li può dire? Basta: non andare avanti:

Tuttu lu munnu è comu casa nostra. (3)                   tutto il mondo è come casa nostra. (3)

 

Note

1)      Alla rondine, questa volta,  Meli affida il ruolo di vanitosa che si vanta dei suoi viaggi

come i turisti consumatori di oggi.

2)      La patella sta attaccata allo scoglio con forza. Si può scorgere un fondo autobiografico;

Meli si definiva un'ostrica, non si mosse dalla sua Palermo, tranne casi di estrema

necessità. Si può scorgere anche il carattere di tanti siciliani che non amano andare oltre lo

stretto di Messina.

3)      Non è un invito a non viaggiare; è un invito ad essere meno saputelli, pensare e riflettere.


INDICE FAVOLE MORALI

tre libri su Giovanni Meli

L'ORIGINI DI LU MUNNU -  Poema ironico sull’origine del mondo di Giovanni Meli  l'Abate - In Siciliano e traduzione in Italiano a fronte - Nella originale edizione del 1814 curata dallo stesso Poeta, con le ottave postume ritrovate da Agostino Gallo, con tutte le note filosofiche dello stesso Giovanni Meli, con le note di traduzione delle più difficili parole siciliane, con le note biografiche su Meli e su come nacque questa straordinaria opera, con un disegno di Giove creatore di Dafne Zaffuto - € 12,00 pag. 150 ordinabile tramite   I BUONI CUGINI EDITORI

https://www.ibuonicuginieditori.it/store/product/giovanni-meli-lorigini-di-lu-munnu-poemettu-berniscu



In occasione del bicentenario di Giovanni Meli 1815 – 2015 - In un solo volume:
 il romanzo "L'Abate Meli" di Luigi Natoli
"Giovanni Meli – Studio critico" di Luigi Natoli
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E in Appendice  tante poesie di Giovanni Meli con testo italiano a fronte a cura di Francesco Zaffuto. 
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lunedì 15 marzo 2021

Le macchine sono cose morte e inanimate

 








XXIII - LU CAGNOLU E LA CANI                

Le straordinarie macchine di cui si dota l’uomo, 

a volte per utilità ed  a volte solo per spasso;

appaiono portentose in sé, 

ma sono solo cose morte e inanimate.


LU CAGNOLU E LA CANI                                             IL CAGNOLINO E LA CANE

 

Un cagnolu ‘na strummula si vidi                              Un cagnolino una trottola vide

Scurriri attornu sula, e firriari,                                  scorrere attorno da sola, e girare,

Pri spratichizza un armali la cridi,                            per inesperienza un animale la crede,

Chi avia, com'iddu, vogghia di jucari;                      che aveva,  come lui, voglia di giocare;

Perciò ci accosta calatu calatu,                                 perciò si accosta abbassato abbassato,

Ma fu cu ‘na spaddata ributtatu.                             ma fu con una spallata ributtato.

 

Ci struppiàu lu mussu a signu tali,                              Gli storpiò il muso a segno tale,

Chi rucculannu cursi  tra ‘na ‘gnuni.                         che guaendo corse tra un angolo.

Cridennu chi so figghiu avissi mali,                           Credendo che suo figlio avesse male,

Nesci la matri e mustra li scagghiuni, (1)                 esce le madre e mostra i denti, (1)

E in vidirlu trimanti e stupefattu,                              e nel vederelo tremante e stupefatto,

Ci dumanna: “Cui fu? chi ti ànnu fattu?”                 gli domanda: “Chi fu? che ti hanno fatto?”

 

Iddu rispunni: “C'era un armaluzzu,                           Esso risponde: "C’era un animaletto,

Chi sulu sulu girava e curria,                                        che solo solo girava e correva,

Mi accostu pri ciorarlu e appena truzzu,                  mi accosto per fiutarlo e appena tocco,

Mi duna un’ammuttuni, e mi struppia...                  mi dà uno spintone e mi fa male…

Talé, talé, vidi ca torn'arreri!...”                                 Guarda, guarda, vedi che torna di nuovo!...”

Dissi, e scantatu si jitau 'nnarreri,  (2)                        Disse, e spaventato si buttò indietro, (2)

 

La matri ridi, e poi dici: “Oh babbanu!                      la madre ride, e poi dice: “Oh babbione!

Chistu è un pezzu di lignu. La sua forza,                  questo è un pezzo di legno. La sua forza,

Lu so motu è vinutu da la manu                               il suo moto è venuto dalla mano

Di lu picciottu, chi la scagghia e sforza;                   del ragazzo, che la scaglia e sforza;

Tutta la sua putenza e tuttu chiddu                          tutta la sua potenza e tutto quello

Spiritu, chi dimustra, nun è d'iddu.                          spirito, che dimostra, non è suo.

 

Sai com'è pressu a pocu: lu patruni                         Sai com’è presso a poco: il padrone

Ammett’in casa pri spassu e piaciri,                       ammette in casa per spasso e piacere:

(Comu tu sai) Ruffiniu e Corbelluni: (3)                 (come tu sai) Ruffiano e Imbroglione: (3)

Pari ad un scioccu in chisti di vidiri,                         come  a uno sciocco in questi  vedere,

Di lu patruni cu la grazia in frunti ,                           del padrone con la grazia in fronte,

Un superbu Gradassu e un Rodomunti.                  un superbo Gradasso e Rodomonte.

 

Si mai la grazia da iddi alluntanati,                         Se mai la grazia da essi  si allontana,

Nun avrannu chiù fumi né valia;                           non avranno più fumi né valore;

Divintirannu strùmmuli scacati,                              diventeranno trottole cadute ,

Scuprennu ognunu l'essenza ch'avia,                    scoprendo ognuno l’essenza che aveva,

Chi tolta in iddi l'indoli maligna, (4)                       che tolta ad essi l’indole maligna, (4)

In sustanza nun sù chi trunchi e ligna.”                in sostanza non sono che tronchi e legna.”

 

Nella edizione delle Opere di Meli 1914, curata da Edoardo Alfano,  venne inserita anche una

ulteriore strofa trovata nei manoscritti di G. Meli; dove la madre del cagnolino prosegue nella

descrizione della trottola; strofa ripetitiva che forse Meli non intese utilizzare per l’edizione del

1814. La riportiamo per documentazione.

 

“Ora quant’opra in iddi lu favuri                                   “Ora quant’opera in essi il favore

Sulla trottola fa lu rumaneddu                                      sulla trottola lo fa la cordicella

Ddà lu patruni ci duna viguri                                        là il padrone ci dà vigore

E ccà lu vrazzu d’un giuvinitteddu:                              e qua il braccio di un ragazzino:

Leva favuri e vrazzu e ti cunsignu                                togli favore e braccio e ti consegno

Tanto ddà quantu cca strummula e lignu.”                   tanto là quanto qua trottola e legno.”

 

Note

1)      Mustra li scagghiuni= digrignare, tipico del cane. Usato in siciliano anche come

guardare con cipiglio per il comportamento umano.

2)      Si nasconde dietro la madre.

3)      Il padrone ammette in casa tante corbellerie per spasso e piacere.

Ruffiniu e Corbelluni = ruffiano e imbroglione  come fossero due personaggi. 

Nell’illusione di uno sciocco quelle corbellerie possono essere viste con il valore di

Gradasso e Rodomonte (nomi di paladini dell’Orlando Furioso); ma appena cessa

 l’illusione, si rivelano trottole cadute.

4)      Tolta l’indole maligna, ovvero  il marchingegno che li fa funzionare, si rivelano

pezzi di legno. I giochi meccanici dell’epoca del Meli spesso erano di legno.


INDICE FAVOLE MORALI

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giovedì 11 marzo 2021

Sulla perseveranza

 


XXII - LA CAMULA E LU TAURU

La camula (il tarlo),  piccolo essere,  con la sua 

perseveranza  esercitata nel tempo, riesce  dove 

un toro con la sua forza aveva fallito.

Questa favola è qui di seguito presentata secondo 

l’edizione di Giovanni Meli del 1814.

Edoardo Alfano, grande studioso del poeta, trovò 

negli appunti autografi di Meli una versione

diversa per le ultime tre strofe e la riportò 

nella Sua edizione del 1914.

Vengono qui riportati in aggiunta anche i versi 

ritrovati da Alfano.


LA CAMULA E LU TAURU                             IL TARLO E IL TORO

 

A Nici   (1)                                                              A Nice    

 

Nun lu negu, sì l'estrattu                                   Non lo nego, sei l’estratto

Di l'onuri, e la custanza,                                     dell’onore, e la costanza,

Ed ài datu anchi lu sfrattu                                  ed hai dato anche lo sfratto

A suggetti d'impurtanza:                                    a soggetti d’importanza:

 

E cunfessu chi stu tali,                                       e confesso che questo tale

Chi ti mustra affezioni,                                      che ti mostra affezione,

Nun è oggettu chi prevali,                                non è oggetto che prevale,

Né di dari apprensioni.                                      né di dare apprensione.

 

M’àju a menti... Orsù cuntàmula, (2)                 Ma ho a mente … Orsù raccontiamola 

Certa istoria strepitosa                                        certa storia strepitosa

Di un insettu dittu càmula                                  di un insetto detto tarlo  

Di natura pittimusa. (3)                                       di natura attaccaticcia.

 

Dunca c'era a sti cuntorna                                  Qunque c’era in questi dintorni

Un gran tauru grassu e grossu                           un gran toro grasso e grosso

Chi manciannucci li corna                                   che prudendogli le corna

Dav’a un vecchiu truncu addossu.                     dava  a un vecchi tronco addosso.

 

A sti botti affaccia un pocu                                A queste botte affaccia un poco

Un virmuzzu la sua testa,                                   un vermetto la sua testa,

E poi grida: “Olà, cu' è ddocu?                            e poi grida: “Olà, chi è là?

Cui lu truncu mi molesta?                                   Chi il tronco mi molesta?”

 

Nun si digna di rispundiri                                 Non si degna di rispondere

Di l'armenti lu bascià,                                       degli armenti il pascià,

E cridendulu cunfundiri                                    e pensando di confonderlo

A lu truncu forti dà.                                           al tronco forte dà.

 

Lu virmuzzu sinni ridi                                       Il vermetto se ne ride

Dipoi dici: “Ci scummettu,                               dopo dici: “Ci scommetto,

Chi la forza, in cui tu fidi,                                  che la forza, in cui tu fidi,

Ccà si perdi, senza effettu.                               qui si perde, senza effetto.

 

Jeu mi fidu di pruvarti,                                         Io mi fido di provarti,

Cu evidenza e cu cirtizza                                     con evidenza e con certezza

Chi pò chiù la flemma e l'arti                             che può più la flemma e l’arte

Chi la forza e robbustizza.”                                 che la forza e robustezza.”

 

Sia lu tauru diggià stancu,                                   Sia il toro di già stanco,

Pri li sforzi fatti avia,                                          per gli sforzi fatti aveva,

Sia diggià vinuta mancu                                     sia di già venuta a mancare

La sua boria e bizzarria,                                      la sua boria e bizzarria,

 

Pigghia pausa, e dici: “Orsù                               piglia pausa, e dice: “Orsù

Ieu ti accordu sicuranza;                                      io ti accordo fiducia;

Dimmi prima cui sì tu?                                        dimmi prima chi sei tu?

D'unni nasci sta baldanza?                                  Da dove nasce questa baldanza?”

 

“Ieu su’ un essiri – rispundi -                               “Io sono un’essere – risponde -

Di misuri pocu esatti,                                          di misure poco esatte,

Lu miu corpu 'un corrispundi                              il mio corpo non corrisponde

Cu lu grandi di li fatti;                                           con il grande dei fatti;

 

Chistu truncu, chi a lu cozzu                               questo tronco, che al cozzare

Azzannau li corna toi,                                          azzannò le corna tue,

Mi lu arrùsicu pri tozzu, (4)                                me lo rosico per pane, 

Pozz'eu farlu e tu nun poi.                                 posso io farlo e tu non puoi.”

 

“Va’... sì pazzu”, dici, e parti                                  “Va’ … sei pazzo”, dice, e va via

Lu gran tauru; ma l'insettu                                   il gran toro; ma l’insetto

Da lu truncu nun si sparti,                                    dal tronco non si discosta,

Né abbanduna lu proggettu,                                né abbandona il progetto.

 

A lu signu, chi passatu                                        Al segno, che passato

Chiù di un lustru, oh meravigghia!                     più di un lustro, oh meraviglia!

Lu gran truncu sbacantatu                                   Il gran tronco stroncato

Cadìu in pulviri e canigghia!                                 cadde in polvere e crusca!

 

Chi ni dici tu, curuzzu, (5)                                     Chi ni dici tu, coruccio, 

Cu lu beddu to talentu?                                        con il tuo bel talento?

Nun è statu chi un virmuzzu                                Nun è statu che un vermetto

Chi produssi stu purtentu!                                   che produsse questo portento!

 

G. Meli 1814

 

Di seguito riportiamo,  per documentazione, il gruppo di versi ritrovata da Edoardo Alfano,

tra i manoscritti di G. Meli. Le sei strofe sotto riportate sono una diversa versione delle

ultime tre strofe della poesia.

 

“Va’... sì pazzu”, dici, e parti                                  “Va’ … sei pazzo”, dice, e va via

Già lu Tauru tediatu,                                             già il toro tediato,

Spazia immenzu a la gramigna                           spazia in mezzo alla gramigna

E all’autr’ervi di lu pratu                                      e alle altre erbe del prato.

 

Poi dirigi li soi curi                                                 Poi dirige le sue cure

A li vacchi chi àvi a vista                                     alle vacche che ha a vista

Cumpartennu li favuri                                        dividendo i favori

Ora a chidda ed ora a chista.(6)                          ora a quella ed ora a questa. 

 

Multu tempu era passatu                                      Molto tempo era passato

Senza veniri a ddu situ,                                        senza venire a quel sito,

Duvi aveva cuntrastatu                                        dove aveva contrastato

Cu lu troncu rifiritu.                                               con il tronco riferito.

 

Quannu un jornu capitannu                                  Quando un giorno capitando

Si ci affaccia alla memoria                                   si ci affaccia alla memoria

Lu dialugu di tannu                                               il dialogo di allora

Cu dd’insettu tuttu boria                                      con quell’insetto tutto boria.

 

Già s’accosta pri vidiri.                                            Già si accosta per vedere.

Batti appena … oh maravigghia!                         batte appena … oh meraviglia!

Lu gran troncu va a cadiri                                     Il gran tronco va a cadere

Tuttu in pulviri e canigghia.                                  tutto in polvere e crusca.

 

E l’insettu gloriusu                                               E l’insetto glorioso

Nesci e grida: “Di’ a li bravi (7)                          esce e grida: “Di’ ai bravi 

Stu triunfu purtintusu                                         questo trionfo portentoso

Di cui menu ti aspettavi”. (8)                              di cui meno ti aspettavi”. 

 

Note

1)       Favola con dedica a Nice, personaggio femminile immaginario che troviamo

nella Bucolica e in altre poesie. Nice (questa volta)  potrebbe anche sottintendere

una donna  realmente esistente e conosciuta dal Meli (il poeta conobbe tante dame

nella sua Palermo), ma non ci sono elementi e note che possono ricondurci a un

       personaggio esistente. Sono i versi iniziali che possono farci protendere per l’esistenza

       di una dama reale che il poeta mette in avviso sul poco valore di un suo corteggiatore.

2)      Dopo la raccomandazione a Nice, da qui inizia il racconto della Favola morale.

3)      Persona pittimusa - noiosa - attaccaticcia - da cui non ci si riesce a liberare.

4) Tozzu = tozzo, pezzo; riferito a un pezzo di pane.

5)      Qui il poeta ritorna a Nice (che chiama curuzzu=coruccio) e riprende nel chiudere

la favola lo stesso riferimento alla dedica iniziale.

6)      Il toro torna alle sue vacche; con questo verso il Meli pare esplicitare che il tronco

in realtà fosse l’immagine simbolica di una donna irraggiungibile (forse la stessa Nice),

che il corteggiatore maldestro non è riuscito a conquistare e ora si dedica quelle più facili.

7)      A li bravi; qui inteso a quelli come te, a quelli della tua risma.

8)      Questa chiusura, della seconda versione della favola, che Alfano ha ricavato dagli appunti

di Meli, dà più peso al tarlo canzonatore, e non ritorna alla Nice della dedica iniziale. Forse

questa  seconda versione poteva essere suscettibile di altre limature ed aggiunte del poeta,

è meglio considerarla per il suo solo valore di documentazione.


Foto - il tarlo del legno da wikipedia.


INDICE FAVOLE MORALI

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