giovedì 28 marzo 2019

La morale del Gatto




VIII - LU GATTU, LU FRUSTERI E L'ABATI  
   IL GATTO, IL FORESTIERO E L’ABATE                
La favola di Giovanni Meli
sull’educazione, che è anche,
una favola sulla mezza morale; 
quella morale che vale fino ad
un certo punto, 
e che poi viene abbandonata 
vista la mala parata.

LU GATTU, LU FRUSTERI E L'ABATI            IL GATTO, IL FORESTIERO E L’ABATE


Trasìu tra un rifittoriu di frati,                                Entrò in un refettorio di frati,
(O forsi era di monaci) un frusteri,                        (o forse era di monaci) un forestiero,
E cu lu Guardianu, o puru Abati,                           e con il Guardiano, o anche Abate,
Osservava li vanchi, li spadderi,                            osservava i banchi, le spalliere,
E di lu locu la capacità,                                          e del luogo la capacità,
Com'è l'usu di cui girannu va.                                com’ è l’uso di chi girando va.

Vidi chi passiava cu gran sfrazzu                           Vide che passeggiava con gran sfarzo
Un grossu gattu di culuri 'mmiscu,                          un grosso gatto di colore misto,
Ci luceva lu pilu, e a lu mustazzu                            gli luceva il pelo, e per i baffi
Paria un suldatu svizzaru o tudiscu;                        pareva un soldato svizzero o tedesco;
Lu guarda e dici: “Per Bacco, che un gatto             lo guarda e dice: “Per Bacco, che un gatto
Non v'è in Soria sì grosso e sì ben fatto!”(1)           non vi è in Soria così e così ben fatto!” (1)

Lu reverennu ci rispunni: “E puru                           Il reverendo gli risponde: “Eppure
Vossia nun vidi chi li preggi esterni,                     lei non vede che i pregi esterni,
O sia fisici, ch'iu nenti li curu.                               o sia fisici, di cui io niente mi curo.
Ma li preggi morali, o sia l'interni,                        Ma i pregi morali, o sia l’interni,
Chisti lu fannu raru e singulari,                             questi lo fanno raro e singolare,
E ci li farrò vìdiri e tuccari.”                                    e glieli farò vedere e toccare.”

Cussì dittu, cumann’a un fratacchiuni: (2)            Detto questo, comanda a un fratacchione: (2)
“Mettici un piattu di pisci davanti.”                      “Mettici un piatto di pesci davanti”.
Chistu ubbidisci e porta un gran piattuni               Questo obbedisce e porta un gran piattone
Chinu di vopi e trigghi ed a l'istanti (3)                 pieno di boghe e triglie e nell’istante  (3)
Chi lu posa, ci dici:” Guarda ccà!”                           che lo posa gli dice: “Guarda qua!”
E immobili lu gattu si sta ddà.                                 E immobile il gatto si sta là.

Vinniru autri dui gatti (o chi tirati                         Vennero altri due gatti (o che attirati
Di li pisci a l'oduri, o puru apposta                        dai pesci per l’odore, oppure di proposito
Ci foru da lu laicu avviati)                                       furono dal frate laico avviati)
E ogn’unu d'iddi a lu piattu si accosta.                  e ognuno di loro al piatto si accosta.
Ma lu gattu robbustu in un balenu                         Ma il gatto robusto in un baleno
C'è supra, li rincula e teni a frenu.                         c’è sopra, li rincula e tiene a freno

Ammira cu stupuri lu frusteri                                Ammira con stupore il forestiero
L'onuratizza d'iddu e la pussanza.                        l’onoratezza di lui e la possanza.
Quannu, duvennu entrari un cucineri                   Quando, dovendo entrare un cuciniere,
Grapi ‘na porta, e a fudda si sbalanza                  apre una porta, e a folla si precipita
Una truppa di gatti, e tutti a un trattu                   una truppa di gatti, e tutti a un tratto
Tiranu pri avvintarisi a lu piattu.                           tirano per avventarsi al piatto.

Tintau lu grossu gattu argini fari,                         Tentò il grosso gatto argine fare,
Dannuci supra; ma mentri cummatti                    dandoci sopra; ma mentre combatte
Cu quattru o tri, vidi autri sfirriari:                        con quattro o tre, vede altri girare dietro:
Ddocu si perdi e nun sta chiù a li patti;                qui si perde e non sta più ai patti;
Torna, si afferra la chiù grossa trigghia,               torna, si afferra la più grossa triglia,
Sfiletta, e l'autri poi cui pigghia pigghia.             scappa, e gli altri poi chi piglia piglia.

Dici lu Reverennu: “Lu miu gattu                         Dice il reverendo: “Il mio gatto
Avi giudiziu o no? Forza e curaggiu,                    ha giudizio o no? Forza e coraggio,
Tentau... Poi pinsau ad iddu. E beni à fattu.         tentò … Poi penso a se stesso. E bene ha fatto.
Fari megghiu putìa l'omu chiù saggiu?                   Fare meglio poteva l’uomo più saggio?”
L'autru tistìa e dici: Padre mio,                                L’altro scuote il capo e dice: “Padre mio,
Ben vi spiegate, vi ho capito, addio.                       ben vi spiegate, vi ho capito, addio.”

1 Soria o Siria,  luogo da dove discendono i gatti soriani.
2 Fratacchiuni: con questa parola Meli, nella nota dell’edizione del 1814, esplicita che vuole
riferirsi, usando un dispregiativo, a un frate laico. E’ molto probabile che lo abbia fatto solo per
esigenza di rima con piattuni.  Nella edizione del 1814 per piattu e piattuni usa l’antico 
prattu e prattuni ormai non più in uso in siciliano. Alfano, nella edizione del 1914, 
per agevolare la lettura, scrive piattu e piattuni.
3 Vopi, sta per boghe. Nella edizione del 1814 una specifica nota dice che si fa riferimento agli
Sparus Boops Linn (boghe) pesci molto comuni nel mare siciliano.

INDICE FAVOLE MORALI


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domenica 17 marzo 2019

Giovanni Meli e la favola sulla gratitudine










VII  -  LU CANI E LA SIGNA  
La favola poetica di Giovanni Meli è un  dialogo 
tra una scimmia e un cane. La scimmia deride
il cane che si preoccupa per il suo padrone. 
L’ingratitudine è odiosa  per la natura 
e per gli dei. E la natura volle creare 
un esempio di gratitudine.




LU CANI E LA SIGNA                                             IL CANE E LA SCIMMIA     

Un gentil'omu avia ‘na signa e un cani,                Un gentiluomo aveva una scimmia e un cane
Chi tinia 'ncatinati tra un perterra:                         che teneva incatenati al piano terra:
Vitti la signa un jornu chi lu pani                             vide la scimmia un giorno che il pane
Di lu cumpagnu era ristatu a terra;                         del compagno era restato a terra;
Ci spija: “A tia la fami 'un manca mai,                     gli domanda: “A te la fame non manca mai,
Pirchì ora 'un manci? Dimmi, chi cosa ài?”           perché ora non mangi? Dimmi, cos’hai?”

Rispunn'iddu: “Malatu 'un micci criju;                   Risponde lui: “Malato non mi credo;
Ma c’aju tra lu cori ‘na gramagghia:                      ma ho nel cuore una grande tristezza:
Lu patruni avi assai chi nun lu viju;                        il padrone è tanto che non lo vedo;
Cui sa?...” Ma lu parrari idda ci stagghia:              chissà? ...” Ma nel parlare lei lo tronca:
“Poh! Nun c'è autru? E di': Senza di tia                   “Poh! Non c’è altro? E di’: senza di te
Lu patruni, chi forsi 'un manciria?”                         il padrone, che forse non mangerebbe?”

Replica: “Nun lu sacciu; ma  mi costa                     Replica: “Non lo so; ma mi consta
Ch'una vota eu mi spersi, e mi circau.                    che una volta io mi persi, e mi cercò.”
Rìpigghia l'àutra: “Nàutra vota apposta               Ripiglia l’altra: “ Un’altra volta di proposito          
Vinni cu un lignu e ti vastuniau,                             venne con un legno e ti bastonò,
E tu, da veru saccu di vastuni,                                 e tu, da vero sacco che prende bastonate,
Ci liccasti li manu e li garruni.”                                gli hai leccato la mano e i calcagni.”

“Chistu, dici lu cani, voli diri                                 “Questo, dice il cane, vuol dire
Aviri gratitudini, ed un cori                                    avere gratitudine, ed un cuore
Chi la cunserva a costu di muriri.”                          che la conserva a costo di morire.”
Ma dici l'autra: “Tu tantu ti accori                       Ma dice l’altra: “Tu  tanto ti accori
Per iddu, ed iddu (si tu spii a mia)                          per lui, e lui (se chiedi a me )
Mancu pinseri e trivulu à di tia.”                         neanche pensieri e preoccupazioni ha per te.”

Grida lu cani: “Menti pri la gula,                        Grida il cane: “Menti per la gola,
Tu, chi sì tutta pazza ed incustanti,                     tu, che sei tutta pazza ed incostante,
Cerchi cumpagni pri nun stari sula.                     cerchi compagni per non stare sola.
Lu patruni mi stima; e non ostanti                       Il padrone mi stima; e non ostante
Ch'iddu nun mi stimassi, eu sempri esattu          che lui non mi stimasse, io sempre esatto
Ci sarrò pri ddu beni chi mi à fattu.                    gli sarò per quel bene che mi ha fatto.

Un cori a la mia speci vòsi dari                          Un cuore alla mia specie volle dare
Gratu e riconoscenti la Natura,                           grato è riconoscente la Natura.
Pirchì duvia sirviri pri esemplari                        Perché doveva servire per esempio
All'omu stissu e ad ogni criatura,                       all’uomo stesso e ad ogni creatura,
Acciò profitti di nostra allianza,                         in modo che approfitti della nostra alleanza
E apprenda gratitudini e custanza.”                 e apprenda gratitudine e costanza”.

INDICE FAVOLE MORALI


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