martedì 6 novembre 2018

L'occhi


L’OCCHI
Ode  - di Giovanni Meli  - Alcuni studiosi di cose palermitane riferiscono che Meli si fosse ispirato agli occhi di Donna Lucia Migliaccio,  che divenne moglie del re Ferdinando I di Borbone dopo la morte della regina Maria Carolina d’Austria. 
Quest’ode, come Lu labbru,  fu musicata e cantata. 
 (nella disposizione del tomo secondo del 1814 è l’Ode V)



L’occhi                                 Gli occhi

Ucchiuzzi niuri                  Occhietti neri
Si taliati                              se guardate
Faciti cadiri                        fate cadere
Casi e citati.                      case e città.

Ieu muru debuli                Io muro debole
Di petri e taju                    di pietre e fango
Cunsidiratilu                     considerate
Si allura caiu!                    se allora cado!

Sia arti magica,                    Sia arte magica,
Sia naturali,                           sia naturale,
In vui risplenninu                 in voi risplendono
Biddizzi tali                            bellezze tali

Che tutti ‘nsemmula                   Che tutti insieme
Cumponnu un sciarmu (1)        compongono uno charme (1)
Capaci a smoviri                         capace di smuovere
Lu stissu marmu.                        anche il marmo.

Ha tanta grazia                          Ha tanta grazia
Ssa varvaredda,                         questa pupilla,
Quannu si situa                          quando si pone
Menza a vanedda,(2)                 mezza socchiusa (2)

Chi, veru martiti                         che,  vero martire
Di lu disio                                   del disio
Cadi in deliquiu                         cade in deliquio
Lu cori miu.                               il cuore mio.

Si siti languidi                          Se siete languidi
Ucchiuzzi cari,                         occhietti cari,
Cui cci po’ reggiri?                  chi ci può reggere?
Cui cci po’ stari?                       Chi ci può stare?

Mi veni un piulu                     Mi viene una smania
Chi m’assutterra,                    che mi sotterra,
L’arma si spiccica                    l’anima si stacca
Lu senziu sferra. (3)                la ragione sferra (3).

Poi cu po’ esprimiri                Poi chi può esprimere
Lu vostru risu,                          il vostro riso,
occhiuzzi amabili,                   occhietti amabili
s’è un paradisu?                       s’è un paradiso?

Lu pettu s’agita                        Il petto s’agita
Lu sangu vugghi                      il sangue bolle
Su tuttu spinguli                       su tutto spilli
Su tuttu avugghi.                     su tutto aghi.

Ma quantu lagrimi,                Ma quante lacrime,
Ucchiuzzi amati,                    occhietti amati,
Ma quantu spasimi                 ma quanti spasimi
Chi mi custati!                       che mi costate!

Ajati làstima                           Abbiate compassione
Di lu miu statu;                      del mio stato;
Vaja riditimi,                          su via ridetemi,
Ca su’ sanatu!                        che sono sanato!

note
 1Sciarmu è un francesismo ereditato dalla dominazione francese in Sicilia, e sta per charme – fascino.
 2   Vanedda – piccola via  stretta. Natoli ne la “Musa siciliana” aggiunge una nota: Occhi a vanedda o a vanidduzza, socchiusi in modo da lasciare un spazio per guardare.
       3  Sferra – italiano -  perde i ferri come potevano perdere i ferri i cavalli


immagine - Particolare da Francesco Hayez, Rinaldo e Armida, 1813, 295 x 198 cm, Gallerie dell'Accademia di Venezia     

 tre libri su Giovanni Meli

L'ORIGINI DI LU MUNNU -  Poema ironico sull’origine del mondo di Giovanni Meli  l'Abate - In Siciliano e traduzione in Italiano a fronte - Nella originale edizione del 1814 curata dallo stesso Poeta, con le ottave postume ritrovate da Agostino Gallo, con tutte le note filosofiche dello stesso Giovanni Meli, con le note di traduzione delle più difficili parole siciliane, con le note biografiche su Meli e su come nacque questa straordinaria opera, con un disegno di Giove creatore di Dafne Zaffuto - € 12,00 pag. 150 ordinabile tramite   I BUONI CUGINI EDITORI

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In occasione del bicentenario di Giovanni Meli 1815 – 2015 - In un solo volume:
 il romanzo "L'Abate Meli" di Luigi Natoli
"Giovanni Meli – Studio critico" di Luigi Natoli
tutte le poesie che Luigi Natoli inserì nel trattato "Musa siciliana". 
E in Appendice  tante poesie di Giovanni Meli con testo italiano a fronte a cura di Francesco Zaffuto. 
Il volume di 730 pagine al prezzo di € 25,00 –  può essere richiesto alla casa editrice 
al prezzo scontato di € 21,30 -  qui sotto il link per l’ordinazione




L’ACEDDI

il libro con le favole di Giovanni Meli sugli uccelli – poesie siciliane con traduzione in italiano a fronte di Francesco Zaffuto -  pag. 103  - € 10,00 - ordinabile direttamente alla casa editrice al 

giovedì 20 settembre 2018

Una stele con una poesia di Giovanni Meli

Una stele con la poesia di Giovanni Meli  "Lu labbru" che inizia con l'incipit "Dimmi dimmi, apuzza nica ..." è collocata di fronte allo splendido mare di Terrasini a Cala rossa (donata alla Città di Terrasini dalla ditta Trupiano Marmi e collocata in luogo dal 6 dicembre 2015). I visitatori potranno leggere su quella stele l'intera poesia nella luce di quei luoghi dove il poeta abitò (dal 1767,  Meli esercitò la professione di medico per cinque anni nel paesino di Cinisi che confina con Terrasini).

foto di Ottavio Ginevra  

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lunedì 7 maggio 2018

Arrìcriu



Viaggio tra parole e frasi siciiane, leggendo le poesie di Meli

Arrìcriu = ristoro, conforto, anche manifestazione di  grande piacevolezza – anche pausa d’intervallo per un riposo.  Arrìcriari – dare ristoro,  ricreare.  Arrìcriarisi -  avere ristoro - ricrearsi, ritemprarsi – avere piacevolezza grande –   come un crearsi a nuovo dopo una fatica distruttiva , sollevarsi dalle pene.
M’arricriavu l’occhi = vedere qualcosa di molto bello . – M’arricriavu la panza = essere sazion con un cibo molto buono. – M’arricriavu tuttu = avere ripreso ottima forma. – Un’ura di arricriu = un’ora di svago.

Ecco come Meli usa la parola arrìcriu nell’Ode La Cicala


 Quannu è Febu a lu miriu, (3)                      Quando Febo (il Sole)  è a mezzogiorno,(3)
Li toi noti sù a lu stancu                                 le tue note sono allo stanco
Passaggeri di arricrìu:                                    passeggero di ristoro:
Posa all'umbri lu sò ciancu,                           posa all’ombra il suo fianco
E a lu sonu di tua vuci                                    e al suono della tua voce
Si addurmisci duci duci.                                si addormenta dolcemente.

Il link per l’intera Ode  La Cicala

Immagine – Nincent Van Gogh – riposo di due contadini

Altri modi di dire in siciliano nei vesi di Meli

Cianchi e … moru li cianchi

   

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sabato 5 maggio 2018

La Fortuna







Giovanni Meli nella sua poesia La Paci ci aveva presentato la dea Fortuna con tutti gli uomini che gli correvano appresso per avere una scardidda (una briciola), qui la rappresenta come un essere mitologico che va in cerca di uomini per costruire il suo impero; in un’altra poesia-satira dal titolo
Lu tempiu di la fortuna” Meli ritorna sul tema descrivendo meriti e soprattutto demeriti dei fortunati.
Qui la poesia di Meli “La Fortuna” viene inserita nel suo testo in siciliano e con una traduzione letterale a fronte come guida;  si è voluta allegare anche la traduzione poetica fatta in veneto dal poeta Antonio Lamberti del 1818.


La Fortuna

   “ Ah ca passa! allerta, allerta!                   “Ah qui passa! allerta, allerta!
La Fortuna veni a tia!                                 La Fortuna viene a te!
Vacc’incontru pri la via                               Valle incontro per la via,
Facci asciari porta aperta”.                        falle  trovare porta aperta”.

   A sti vuci affacciu,  e viju                             A queste voci affaccio, e vedo
Donna altera e risplinnenti!                        donna altera e risplendente!
Privinutu di li genti                                      Prevenuto da la gente
Jeu la porta sbarrachiu.                             io la porta spalanco.

   Allittata di st’omaggiu                                   Allettata da quest’omaggio
S’avvicina e dici: “Oh bravu!                        S’avvicina e dice: “Oh bravo!
Jeu t’accettu pri miu schiavu,                       Io ti accetto per mio schiavo,
Trasirai ‘ntra l’equipaggiu.                            entrerai nell’equipaggio.

  Veni appressu, e a li toi passi                       Vieni appresso, a ai tuoi passi
Vidrai nasciri a l’istanti                                  vedrai nascere all’istante
Li rubini e li diomanti,                                    i rubini e i diamanti,
E tutt’autru chi bramassi                               e tutt’altro che bramassi.

  Si voi posti e dignitati                                     Se vuoi posti e dignità
Basta sulu chi lu dici”.                                   basta solo che lo dici”.
“Ma dipoi sarò felici?                                     “Ma dopo sarò felice?
Spiega, di’ la viritati!”                                     Spiega, dici la verità!”

  “Sì, rispusi, ti lu juru                                         “Sì, rispose, te lo giuro
Pri sta rota chi susteni                                   per questa ruota che sostiene
Tutti quanti li mei beni,                                   tutti quanti i miei beni,
Ed unn’eu mi appoggiu puru”.                        e dove io mi appoggio pure”.

   “Basta, basta! ben capisciu,                            “Basta, basta! ben capisco,
Ci diss’iu, stu juramentu                                 ci diss’io, questo giuramento.
Lu to granni appidamentu                               La tua grande base
Già lu viu, e ni stupisciu.                                 già la vedo, e ne stupisco.

   Ma m’è licitu purtari                                          Ma mi è lecito portare
La mia Paci, sta vicina,                                   la mia Pace, questa vicina,
Chi la sira e la matina                                     che la sera e la mattina
Cu mia sempri soli strari?”                              con me sempre suole stare?”

   “No, rispusi, avvertu a tia,                                “No, rispose, ti avverto,
Pri dicretu di lu fatu                                         per decreto del fato
Sta marmotta, chi t’è allatu,                            questa marmotta, che ti è accanto,
Nun po veniri cu mia”.                                     non può venire con me”.

  “Dunca va, diss’iu, m’addugnu,                        “Dunque vai via, diss’io, m’accorgo,
Chi si instabili e fallaci,                                    che sei instabile e fallace,
Purchì resti in mia la Paci,                               purché resti in me la Pace,
Staju bonu cca unni sugnu”.                            sto bene qua dove sono”.

    Ristau fridda, comu nivi,                                   Rimase fredda, come neve,
Poi pritisi fari sciasciu ;                                   poi pretese fare vendetta;
M’eu mi misi tantu vasciu                                ma io mi misi tanto basso,
Ca di l’occhi ci spirivi.                                      che dagli occhi gli sparii.


La Fortuna -  nella libera traduzione poetica in veneto fatta da Antonio Lamberti – tratta dal libro ““Poesie siciliane del celebre Abate Giovanni Meli trasportate in versi veneziani da Antonio Lamberti” Belluno 1818 – Tipografia Tissi

Za la passa; alerta alerta
   Che da ti vien la Fortuna,
   E la mostra bona luna,
   Presto tien la porta averta?

A sto dir me vedo a fianco
   Dona altiera, e rispelndente,
   Seguitada da gran zente,
   E la porta ghe spalanco.

Persuasa de sto omagio
   La me dise: Ti xè bravo!
   Te ricevo per mio schiavo,
   Ti entrerà nel mio equipagio.

Vien con mi. Soto i to passi
   Nascerà perle,  e diamanti,
   Posti, titoli, contanti,
   E quant’altro ti bramassi.

Vustu el cuor d’una signora?                  (vusto el cuor – vuoi il cuor)
   Basta sol che ti domandi.
   Mi rispondo: I beni è grandi,
   Ma saroi felice alora?

Sì, la dise, te lo zuro,
   Per sta roda, che sostenta
   Tanti beni, e che deventa
   El mio poso più sicuro:

Ne ocor’altro; za capisso
    El to sacro zuramento,
    Vedo el gran sostentamento
    Dei to beni, e no stupisso,

Ma condur con mi me preme
    Pase amiga mia, e vicina,
    con la qual sera e matina
    stemo uniti sempre insieme.

Guai! (Fortuna alora dise)
   Un decreto al xè del Fato.
   Sta marmota, xestu mato?                 (xestu mato? - Sei tu matto?)
   No pol far con mi raise.                      (raise -  radici)

Donca va, che mi te mando,
   Dona instabile,  e busiara,
   La mia Pase me xè cara
   Né m’importa d’esser grando.

La s’aveva indespetio,
   La voleva castigarme;
   Ma ò savu tanto sbarassarme
   Che dai ochi gò spario.   

tre libri su Giovanni Meli

L'ORIGINI DI LU MUNNU -  Poema ironico sull’origine del mondo di Giovanni Meli  l'Abate - In Siciliano e traduzione in Italiano a fronte - Nella originale edizione del 1814 curata dallo stesso Poeta, con le ottave postume ritrovate da Agostino Gallo, con tutte le note filosofiche dello stesso Giovanni Meli, con le note di traduzione delle più difficili parole siciliane, con le note biografiche su Meli e su come nacque questa straordinaria opera, con un disegno di Giove creatore di Dafne Zaffuto - € 12,00 pag. 150 ordinabile tramite   I BUONI CUGINI EDITORI

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