lunedì 15 marzo 2021

Le macchine sono cose morte e inanimate

 








XXIII - LU CAGNOLU E LA CANI                

Le straordinarie macchine di cui si dota l’uomo, 

a volte per utilità ed  a volte solo per spasso;

appaiono portentose in sé, 

ma sono solo cose morte e inanimate.


LU CAGNOLU E LA CANI                                             IL CAGNOLINO E LA CANE

 

Un cagnolu ‘na strummula si vidi                              Un cagnolino una trottola vide

Scurriri attornu sula, e firriari,                                  scorrere attorno da sola, e girare,

Pri spratichizza un armali la cridi,                            per inesperienza un animale la crede,

Chi avia, com'iddu, vogghia di jucari;                      che aveva,  come lui, voglia di giocare;

Perciò ci accosta calatu calatu,                                 perciò si accosta abbassato abbassato,

Ma fu cu ‘na spaddata ributtatu.                             ma fu con una spallata ributtato.

 

Ci struppiàu lu mussu a signu tali,                              Gli storpiò il muso a segno tale,

Chi rucculannu cursi  tra ‘na ‘gnuni.                         che guaendo corse tra un angolo.

Cridennu chi so figghiu avissi mali,                           Credendo che suo figlio avesse male,

Nesci la matri e mustra li scagghiuni, (1)                 esce le madre e mostra i denti, (1)

E in vidirlu trimanti e stupefattu,                              e nel vederelo tremante e stupefatto,

Ci dumanna: “Cui fu? chi ti ànnu fattu?”                 gli domanda: “Chi fu? che ti hanno fatto?”

 

Iddu rispunni: “C'era un armaluzzu,                           Esso risponde: "C’era un animaletto,

Chi sulu sulu girava e curria,                                        che solo solo girava e correva,

Mi accostu pri ciorarlu e appena truzzu,                  mi accosto per fiutarlo e appena tocco,

Mi duna un’ammuttuni, e mi struppia...                  mi dà uno spintone e mi fa male…

Talé, talé, vidi ca torn'arreri!...”                                 Guarda, guarda, vedi che torna di nuovo!...”

Dissi, e scantatu si jitau 'nnarreri,  (2)                        Disse, e spaventato si buttò indietro, (2)

 

La matri ridi, e poi dici: “Oh babbanu!                      la madre ride, e poi dice: “Oh babbione!

Chistu è un pezzu di lignu. La sua forza,                  questo è un pezzo di legno. La sua forza,

Lu so motu è vinutu da la manu                               il suo moto è venuto dalla mano

Di lu picciottu, chi la scagghia e sforza;                   del ragazzo, che la scaglia e sforza;

Tutta la sua putenza e tuttu chiddu                          tutta la sua potenza e tutto quello

Spiritu, chi dimustra, nun è d'iddu.                          spirito, che dimostra, non è suo.

 

Sai com'è pressu a pocu: lu patruni                         Sai com’è presso a poco: il padrone

Ammett’in casa pri spassu e piaciri,                       ammette in casa per spasso e piacere:

(Comu tu sai) Ruffiniu e Corbelluni: (3)                 (come tu sai) Ruffiano e Imbroglione: (3)

Pari ad un scioccu in chisti di vidiri,                         come  a uno sciocco in questi  vedere,

Di lu patruni cu la grazia in frunti ,                           del padrone con la grazia in fronte,

Un superbu Gradassu e un Rodomunti.                  un superbo Gradasso e Rodomonte.

 

Si mai la grazia da iddi alluntanati,                         Se mai la grazia da essi  si allontana,

Nun avrannu chiù fumi né valia;                           non avranno più fumi né valore;

Divintirannu strùmmuli scacati,                              diventeranno trottole cadute ,

Scuprennu ognunu l'essenza ch'avia,                    scoprendo ognuno l’essenza che aveva,

Chi tolta in iddi l'indoli maligna, (4)                       che tolta ad essi l’indole maligna, (4)

In sustanza nun sù chi trunchi e ligna.”                in sostanza non sono che tronchi e legna.”

 

Nella edizione delle Opere di Meli 1914, curata da Edoardo Alfano,  venne inserita anche una

ulteriore strofa trovata nei manoscritti di G. Meli; dove la madre del cagnolino prosegue nella

descrizione della trottola; strofa ripetitiva che forse Meli non intese utilizzare per l’edizione del

1814. La riportiamo per documentazione.

 

“Ora quant’opra in iddi lu favuri                                   “Ora quant’opera in essi il favore

Sulla trottola fa lu rumaneddu                                      sulla trottola lo fa la cordicella

Ddà lu patruni ci duna viguri                                        là il padrone ci dà vigore

E ccà lu vrazzu d’un giuvinitteddu:                              e qua il braccio di un ragazzino:

Leva favuri e vrazzu e ti cunsignu                                togli favore e braccio e ti consegno

Tanto ddà quantu cca strummula e lignu.”                   tanto là quanto qua trottola e legno.”

 

Note

1)      Mustra li scagghiuni= digrignare, tipico del cane. Usato in siciliano anche come

guardare con cipiglio per il comportamento umano.

2)      Si nasconde dietro la madre.

3)      Il padrone ammette in casa tante corbellerie per spasso e piacere.

Ruffiniu e Corbelluni = ruffiano e imbroglione  come fossero due personaggi. 

Nell’illusione di uno sciocco quelle corbellerie possono essere viste con il valore di

Gradasso e Rodomonte (nomi di paladini dell’Orlando Furioso); ma appena cessa

 l’illusione, si rivelano trottole cadute.

4)      Tolta l’indole maligna, ovvero  il marchingegno che li fa funzionare, si rivelano

pezzi di legno. I giochi meccanici dell’epoca del Meli spesso erano di legno.


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