martedì 6 aprile 2021

Sul lavoro come condimento del pane

 





XXVII - LA FURMICULA E LA CUCUCCIUTA

Favola sul lavoro, sul furto e sulla sorte.

Una definizione del Lavoro

come condimento del Pane



LA FURMICULA E LA CUCUCCIUTA                          LA FORMICA E L’ALLODOLA

 

Veru chiù ch'un si dici: Li disigni                              Vero più quel che non si dice: i disegni

Di lu poviru mai, mai vennu a fini:                           del povero mai, mai vengono a fine:

Suda, travagghia, fa cunti e rassigni,                       suda, lavora, fa conti e rassegne,

Pri un granu dà la facci tra li spini,                          per un grano dà la faccia tra le spine,

Sparagna, si allammica, si assuttigghia, (1)           risparmia, si lambicca, si assottiglia, (1)

Lu diavulu veni e ci li pigghia.                                  il diavolo viene e ce li piglia.

 

Aveva la furmicula a gran stentu,                             Aveva la formica a gran stento

Tissennu sempri campagni e chianuri,                      tessendo sempre campagne e pianure

Risiddiatu un pocu di furmentu, (2)                         raccolto un poco di frumento, (2)

Chi avia sarvatu in suttirranii scuri,                          che aveva salvato in sotterranei scuri,

Spirannu,  cu sta picciula dispenza,                          sperando, con questa piccola dispensa,

Reggiri di l'invernu a l'inclemenza.                           reggere l’inclemenza dell’inverno.

 

Ven’intantu l'autunnu e ‘na timpesta                        Viene intanto l’autunno e una tempesta

C'insuppa tutta la provisioni,                                     gli bagna tutta la provisione,

Chi si tali, qual è, sarvata resta,                                che se tale, quale è, consevata resta,

Sicci ammuffisci e va in corruzioni;                         gli si  ammuffisce e va in corruzione;

Pri tantu aspetta 'nchiaruta l'aurora,                     per tanto aspetta  rischiarata l’aurora

E pri asciucarla si la nesci fora.                                e per asciugarla se la esce fuori.

 

Aveva appena nisciutu di sutta                                 Aveva appena uscito da sotto

L'ultimu cocciu, chi cala affamata                            l’ultimo chicco, che scende affamata

‘Na cucucciuta, e ci la mancia tutta,                         un’allodola e gliela mangia tutta,

Dicennu: “Ccà la tavul’è cunsata;                              dicendo: “Qua la tavola è preparata;

Veramenti Natura appi giudiziu,                              veramente Natura ebbe giudizio,

La furmicula à fattu in miu serviziu.”                        la formica ha fatto in mio servizio.”

 

Da l'autru latu, amariggiata, afflitta                         Dall’altro lato, amareggiata, afflitta

Cunsidirati quantu l'autra resti!                               considerate quanto l’altra resti!

“Jeu – dici - travagghiai, la maliditta                       “Io – dice - lavorai, la maledetta

Si l'à manciatu, chi ci fazza pesti.                            se l’ha mangiato, che gli faccia peste.

Oh celu! E tu chi sai quantu mi custa,                     Oh cielo! E tu che sai quanto mi costa,

Pirchì mi rendi sta cumpenza ingiusta?                   perché mi rendi questo compenso ingiusto?”

 

Mentri l'afflitta sfugava l'affannu                           Mentre l’afflitta sfogava l’affanno

Contra lu celu, vid’in aria un nigghiu,                    contro il cielo, vide in aria un nibbio,

Chi va la cucucciuta assicutannu,                            che va l’allodola inseguendo,

E già la strinci tra lu crudu artigghiu.                      e già la stringe tra il crudo artiglio.

La furmicula osserva tuttu, e dici:                           La formica osserva tutto, e dice:

“Bonu ci stia, ma intantu eu su’ infelici.                 “Buono gli stia, ma intanto io sono infelice.

 

La cruda morti d'idda e lu so mali,                          La cruda morte sua e il suo male,

Sibbeni in apparenza sia vinditta,                          sebbene in apparenza sia vendetta,

M’a mia nun mi suffraga, e nenti vali                   m’a me non mi suffraga, e niente vale

A cumpinsari in parti la mia sditta;                        a compensare in parte la mia disgrazia;

Soffru travagghi, sfuma lu profittu,                        soffro lavori, sfuma il profitto,

E intantu mi assicuta lu pitittu!                               e intanto mi insegue la fame!

 

Ma è mali assai maggiuri, si nun sbagghiu,          Ma è male più grande, se non sbaglio,

L'essiri assicutata da lu nigghiu;                             l’essere inseguita dal nibbio;

Giacchì, sibbeni è pena lu travagghiu,                    giacchè, sebbene è pena il lavoro,

Puru diri si pò salamurigghiu, (3)                             pure chiamare si può salsa, (3)

Chi ultra chi vi procaccia lu manciari,                      che oltre che vi procaccia il mangiare,

Ci dà sapuri e vi lu fa gustari.”                                  ci dà sapore e ve lo fa gustare.”

 

Note

1)       allammica e assuttigghia, sforzi riferiti al cervello, come spremere il cervello.

2)       Risiddiari,  raccogliere con stenti residui di raccolto abbandonato.

3)      Il lavoro definito come salsa, gusto, condimento che dà sapore allo stesso cibo,

frutto della propria fatica e capacità. Un definizione preziosa data dal Meli al

lavoro che dovrebbe faci riflettere al giorno d’oggi, dove una societa esclusiva

ed espulsiva tiene tanti uomini in stato di disoccupazione.


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