lunedì 25 maggio 2020

L'ORTULANU E LU SCECCU

Sul danno che possono fare i ladri
e
sul danno che possono fare
gli stupidi

Favola di Giovanni Meli
la numero XI
delle Favole Morali
Qui con testo in siciliano
di Giovanni Meli
e con la traduzione in italiano
a fronte di Francesco Zaffuto
- con note per le parole più antiche



L'ORTULANU E LU SCECCU                                        L’ORTOLANO E L’ASINO

Sei tummina di terra, metà ad ortu, (1)                     Sei tummoli di terra, metà ad orto, (1)
Metà a jardinu, un povir'omu avia;                           metà a giardino, un pover’uomo aveva;
E li zappava dannusi cunfortu                                     e li zappava dandosi conforto
Pri lu fruttatu chi ci prumittia;                                     per i frutti che gli promettevano;
M’appena chi li frutti maturaru,                                 ma appena che i frutti maturarono,
Li parpacini ci l'aggramignaru, (2)                              i ladri glieli rubarono (2)

Sibbeni arvuli, e frutti non maturi                           Considerato  alberi, e frutti non maturi
Ristaru intatti, e l'ervi di l'ortaggiu;                         restarono intatti, e l’erbe degli ortaggi;
Pirtantu appoja a profitti futuri                                pertanto appoggia a profitti futuri
Li soi spiranzi e si duna curaggiu.                             le sue speranze e si dà coraggio.
Ma pri sua sditta ‘na notti surtiu                              Ma per sua disdetta una notte accadde
Chi lu capistru l'asinu rumpiu.                                  che il capestro l’asino ruppe.

E sdetti in menzu all'ortu e a lu jardinu,                 E si spinse in mezzo all’ortu e al giardino,
Manciannu e scarpisannu l'insalati,                        mangiando e calpestando l’insalate,
Facennu d'ogni cosa un assassinu,                         facendo di ogni cosa un assassinio,
Rusicannu li frutti anchi ammazati,                        rosicchiando i frutti anche immaturi,
Rumpennu rami, cu jittuni e ‘nziti, (3)                  rompendo rami, con polloni e innesti, (3)
E insumma fici fracassi infiniti.                                e insomma fece fracassi infiniti.

Lu patruni, in sbigghiarsi la matina,                     Il padrone, nel svegliarsi la mattina,
Chiù chi scurri, chiù metti a 'mpallidiri,               più guarda, più si mette a impallidire,
Vidi lu dannu so, la sua ruina:                              vede il danno suo, la sua rovina:
Li latri, dici, dannu dispiaciri,                                 I ladri, dice, danno dispiaceri,
Ma lu sceccu però liberu e sciotu,                        ma l’asino però libero e sciolto,
Unni pò fari guastu è un tirrimotu.                       dove può fare guasto è un terremoto.

Note
1)      Tumminu, plurale tummina = unità di misura per la superfice dei terreni usata in Sicilia,
trattasi di unità di misura di uso locale (e può variare da comune a comune), un tumminu
potrebbe avere il valore di circa 2.500 o 2.700 metri quadrati.
2)      Parpacinu = un antico modo siciliano di chiamare il ladro. Dall’antico latino harpago.
Aggramignari = una altro antico modo per dire rubare
3)      jittuni = polloni o anche succhioni, rami che dal tronco possono rigenerare la pianta;
‘nziti = innesti, particolare modo siciliano di chiamare gli innesti perché ziti sta per sposi
              e ‘nzitari è un modo per sposare due piante.


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